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Il famiglia e il terzo settore per l'infanzia e l'adolescenza
di ELVIRA FALBO | |
DOCENTE UNIVERSITARIA - PRESIDENTE ISSAS | |
La famiglia oggi per i fanciulli e gli adolescenti di Elvira Falbo L’idea di una nuova antropologia nasce dalla evidenza del conflitto oggi esistente tra persona e famiglia. La famiglia protagonista e responsabile nella società non è un’idea di conflitto come confronto o scontro fra due parti contrapposte. La famiglia è la cellula originale della comunità civile. Entro questo orizzonte e in questa prospettiva la sua relazione con le altre famiglie diventa fondamentale, senza relazione non si crea comunità. Anche se i problemi che essa prospetta specialmente per quanto attiene al “mondo dei giovani” e alle caratteristiche di questa “generazione di giovani”, da un lato, agli aspetti che è andata assumendo la nostra società italiana nel rapporto interculturale, dall’altro, pongono interrogativi profondi a tutti noi e proprio per questo meriterebbero molte osservazioni e approfondimenti. Desidero però affiancare all’evidenza del conflitto sopra accennato anche un’altra prospettiva di conflitti: quella cioè del conflitto che non si sviluppa nei termini, un poco hegeliani, dello scontro o del confronto tra due parti contrapposte ma si manifesta invece in termini che potremmo definire quasi hobbesiani come uno scontro o un confronto di tutti contro tutti e persino di ciascuno con sé medesimo. Ovviamente così come la prospettiva del conflitto “duale” è una semplificazione e una estremizzazione di un certo modo di intendere il conflitto, molto legato ad alcuni aspetti dominanti della cultura europea del novecento, così la prospettiva del conflitto “multiplo” è anch’essa una generalizzazione e una semplificazione di un altro modo di intendere il conflitto, peraltro anch’esso molto legato ad altri importanti filoni culturali che trovano oggi nelle moderne teorie del “caos” il loro massimo punto di emersione. A me pare che anche questa diversa prospettiva del conflitto meriti nella realtà attuale una particolare attenzione. Mi sembra infatti che una quota importante del passaggio storico nel quale siamo immersi sia proprio quella dell’incertezza diffusa e generalizzata che deriva non tanto da un approccio filosofico di tipo “relativistico e individualistico” quanto dalla crescente mancanza di punti di riferimento culturale e ideologico. Alla crisi delle grandi ideologie politiche del novecento europeo sta seguendo, ed è sotto gli occhi di tutti, la crisi sempre più profonda dell’unica grande cultura e ideologia rimasta dopo la caduta del muro: l’ideologia liberista della “società aperta”, fondata sulla valorizzazione massima del mercato globale come strumento principe dell’integrazione e dello sviluppo pacifico dell’umanità. Questa impostazione culturale di fondo che ha attraversato tutta la seconda metà del novecento ma è esplosa con particolare vigore negli ultimi due decenni fino a caratterizzare pressoché integralmente il passaggio dal vecchio al nuovo secolo sembra oggi in crisi profonda. L’11 settembre, data storica della caduta delle torri gemelle, come attacco alla potenza egemone americana, è stato anche questo e, forse, è stato soprattutto questo: la messa in crisi del modello culturale egemone che stava guidando pressoché incontrastato lo sviluppo del pianeta. La caratteristica di quel modello però era di considerare tali fenomeni come positivi e regolabili in quanto riducibili al concetto di libera concorrenza delle società viste essenzialmente come economie dentro un mondo da regolare come una sorta di mercato globale. La democrazia stessa come regime politico e come struttura sociale era vista in quel modello non solo e non tanto come un valore in sé ma come una condizione essenziale perché potesse svilupparsi l’integrazione del mondo come espressione ultima dell’integrazione dei mercati. Del resto non è un caso se, come tutti sappiamo, nei decenni che ci stanno alle spalle motore fondamentale della globalizzazione sono stati proprio il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale degli Investimenti. Quel modello, che era un modello sostanzialmente “integrazionista”, tendente a costruire una società mondiale integrata attraverso lo svilupparsi di una folta rete di organizzazioni sovranazionali, di un’interconnessione sempre più onnicomprensiva dei rapporti economici, culturali, comportamentali e persino etici tra le diverse aree del pianeta scontava il conflitto ma lo traduceva nella duplice e diversa dimensione dell’accettazione di un certo grado di “caoticità” come conseguenza della molteplicità e della estrema complessità della rete di relazioni intersoggettive che caratterizzava quella visione del mondo (le “teorie del caos” importate dal mondo scientifico si avviavano a diventare in quella prospettiva anche teorie dominanti nelle scienze sociali) e dell’accettazione di un certo grado di scontento generalizzato e diffuso che dava luogo a un’altrettanto generalizzata, diffusa ma proprio per questo non omogenea contrapposizione al modello dominante (le manifestazioni dei movimenti “antiglobal” erano l’espressione più evidente di questo fenomeno). Peraltro quella stessa visione del mondo tendeva a massimizzare il relativismo religioso e etico, considerando il relativismo come l’atteggiamento culturale indispensabile per abbattere ogni ostacolo ideologico al diffondersi della società aperta quale veicolo di integrazione sociale. Certo è che quel modello sociale di integrazione stava cambiando profondamente non solo i rapporti tra Stati, tra economie e tra popoli ma anche i rapporti tra gruppi sociali e fra generazioni concorrendo a modificare le stesse tradizionali dimensioni dei conflitti sociali e intergenerazionali. Quella visione del mondo, che pure ha dato risultati importanti e che, per le trasformazioni che ha prodotto, è in ogni caso destinata a restare nella storia come il tratto dominante della nostra epoca, è oggi entrata in crisi profonda. L’attentato alle torri gemelle e la guerra irachena costituiscono, anche nel loro complesso e difficilmente decifrabile rapporto di causa-effetto le coordinate di fondo in cui si inscrive non solo il momento che viviamo ma, forse e purtroppo, anche grande parte del nostro prossimo futuro. Se guardiamo attentamente intorno a noi assistiamo a una crisi sempre più evidente delle strutture tipiche della società globale che va dalla crisi dei mercati finanziari fino alla crisi sempre più profonda delle grandi organizzazioni internazionali. Per contro assistiamo al risorgere di forme di relazioni conflittuali che pensavamo facessero parte di un passato definitivamente alle nostre spalle. Risorgono in tutta la loro forza gli Stati e la loro logica, risorgono i fondamentalismi come espressione estremizzata della differenziazione e delle identità “chiuse” anche quando vogliono avere una forza espansiva universale, riprendono spazio le visioni manichee del mondo e delle relazioni fra gli uomini, In questo quadro il relativismo dominante lascia l’Occidente del tutto privo di riferimenti culturali e valoriali in grado di guidarlo in questo nuovo e ignoto mare in tempesta e, allo stesso tempo, sembra oggi restare quasi come l’unica zattera alla quale disperatamente una gran parte delle nostre società resta attaccato nella speranza che la tempesta passi e si possa tornare rapidamente agli orizzonti rassicuranti della società aperta e integrazionista che ci sta alle spalle. Temo che queste speranze siano illusorie e rischino, se non orientate e meglio strutturate, di diventare rapidamente pura de-responsabilizzazione e rinuncia. Siamo entrati in un nuovo scenario, in una nuova fase storica, in un nuovo e diverso ciclo. Gli strumenti culturali che le società contemporanee si sono forgiate in questi decenni sono messi a dura prova e sostanzialmente rischiano di diventare non solo inutili ma persino dannosi in quanto possono incentivare la rinuncia ad accettare il nuovo per quello che esso è, con tutta la complessità e le difficoltà che esso porta con sé. E’ chiaro che in questo scenario, che postula purtroppo che il conflitto possa diventare il carattere dominante del periodo nel quale siamo appena entrati, i cristiani e per primi i cattolici sono sfidati a ritrovare fino in fondo non solo le ragioni della loro fede ma anche lo spessore e la responsabilità del loro impegno nel mondo e nella storia. Il pensiero e la cultura di cui noi siamo portatori in virtù della nostra stessa fede ed esperienza religiosa così come maturata e vissuta nella storia escludono al medesimo tempo tanto il relativismo quanto il fondamentalismo ma, proprio per questo, ci impongono il dovere di essere un punto di riferimento, i portatori di una proposta in grado di dare una risposta ai problemi dell’uomo del nostro tempo. Ancora una volta, come tante altre volte è avvenuto nei duemila anni che ci stanno alle spalle, i cristiani sono chiamati a vivere in un’epoca di conflitti profondi: conflitti che vanno alla radice della convivenza umana. Occorre forza profetica e coraggio, occorre saggezza e fermezza, occorre assunzione di responsabilità e comprensione dell’altro, occorre senso della storia e senso dell’infinito e del trascendente. Occorre realismo e profezia. Occorre rendere testimonianza vera e consapevole dell’insegnamento cristiano. Il nostro Paese ha pian piano abolito la società civile e i sottosistemi quali la famiglia e l’associazionismo che garantivano alla società civile di esistere quale terzo settore tra Stato e Mercato. La continua penalizzazione delle associazioni di volontariato e di Promozione Sociale, fino alla chiusura recentissima dell’Agenzia del Terzo Settore, presieduta da Zamagni, stanno conducendo ad una società duale composta da Stato e Mercato. In cui il Mercato sempre più forte impone òle sue leggi allo Stato. Stiamo andando verso una crisi della democrazia? Quali conseguenze può avere questa crisi sullo sviluppo delle giovani personalità: bambini e adolescenti? La famiglia e la scuola corresponsabili nella formazione “Favorire i comportamenti attesi”, in linea con gli “obiettivi definiti”. Questa frase ci porta, inevitabilmente, a riflettere sulla grande importanza che nella attuale formazione della persona rivestono gli aspetti relativi alla programmazione, programmazione che investe soprattutto la famiglia e la scuola a qualsiasi livello. Infatti, una corretta programmazione include, già all’interno di se stessa, la presa in considerazione di ciò che si vuole raggiungere, e quindi dei comportamenti che si intende sviluppare nell’allievo. La programmazione curricolare implica che la scuola si costituisca come organizzazione complessa e flessibile, capace di individuarsi e di autocorreggersi, disponibile ad aderire alle situazioni ambientali concrete: tutto questo postula impianti di conduzione assolutamente nuovi. La nuova tecnologia dell’educazione si fonda sulle basi scientifiche offerte dalle scienze umane, in particolare la psicologia, la sociologia, l’antropologia culturale, la linguistica e tende ad impostare il processo di apprendimento e di insegnamento attraverso una rigorosa razionalizzazione del processo stesso. Tale razionalizzazione porta all’analisi puntuale degli elementi che interagiscono e di tutte le procedure che intervengono nel processo, alla definizione chiara e precisa degli obiettivi che si vogliono conseguire e allo studio critico dei risultati effettivamente raggiunti che comporti una retroazione che permetta di sottoporre a verifica le procedure didattiche stesse. In una tale prospettiva l’allievo, attraverso procedure di insegnamento predisposti dall’insegnante raggiunge determinati obiettivi educativi che vengono confrontati mediante procedure di controllo con gli obiettivi proposti dall’insegnante; da tale valutazione deriverà una retroazione (feedback) sulle procedure di insegnamento (metodi didattici), che comporterà una loro revisione e una nuova messa a punto, in modo che gli obiettivi raggiunti tendano sempre più a identificarsi con gli obiettivi proposti. Una tale concezione permette a ciascun allievo di assimilare il materiale offerto, seguendo il proprio ritmo di apprendimento, non solo, ma dà allo studente la conoscenza immediata dei risultati conseguiti, detta rinforzo o retroazione che lo spinge ad impegnarsi ulteriormente nel compito e gli facilita la ritenzione. In questo modo si offre al bambino la possibilità di essere un soggetto attivo nei confronti del suo proprio processo di conoscenza del mondo, ed è questo il feedback maggiore che un insegnante può fornire al suo allievo: fornire la consapevolezza di partecipare attivamente alla propria realizzazione. Tutto questo postula una tendenza continua verso la perfezione, anche se mai raggiungibile, ma come tensione verso la Qualità totale può consentire un reale e concreto miglioramento continuo. Ciò che mi preme sottolineare è, comunque, il fatto che, già in partenza, una buona progettazione curricolare dovrebbe essere volta ad una costante interazione e integrazione tra gli obiettivi proposti dagli insegnanti e le motivazioni e le potenzialità che appartengono ad ogni persona che viene al mondo. Se una tale coesione di obiettivi si realizza, non sarà difficile fare in modo che il soggetto acquisisca i comportamenti attesi. La scuola italiana è inserita in un processo di miglioramento continuo. Negli ultimi anni si è registrato un ritorno di attenzione ai tempi e ai luoghi dell’educazione umana. Il 1996 è stato l’Anno Europeo della formazione e dell’Istruzione permanente e per tale occasione la Commissione Europea ha pubblicato un libro bianco sull’apprendimento e l’insegnamento riproposti come canali di accesso alla società del futuro, definita come “Società conoscitiva”. Una tale società dovrebbe essere intesa come società del sapere e nella quale “conoscere” diventa la condizione essenziale per “essere”. Il livello di conoscenza sarà quindi decisivo per il posto che ognuno occuperà nel mondo: un posto scelto per vocazione e non subito per necessità ed adattamento. Il libro bianco della Commissione Europea afferma: “La comprensione del mondo è possibile solo se si può percepirne il senso, comprenderne il funzionamento e trovarvi la propria strada: è questo il ruolo fondamentale della scuola. Questo rientra nei compiti istituzionali della scuola, ma dovrebbe rientrare anche nei compiti della famiglia. La scuola, a qualsiasi livello, deve essere vissuta come “ambiente educativo di apprendimento”, nel quale maturare progressivamente la propria capacità di azione diretta, di progettazione e di verifica, di esplorazione, di riflessione e di studio individuale. La scuola parte dall’orizzonte di esperienze del fanciullo per renderlo consapevole del suo rapporto con un sempre più vasto tessuto di relazioni e di scambi. La scuola pone così le basi cognitive e socio-emotive necessarie per la partecipazione sempre più consapevole alla cultura e alla vita sociale, basi che si articolano, oltre che nelle conoscenze e nelle competenze, anche nella motivazione a capire e ad operare costruttivamente, nella progressiva responsabilizzazione individuale e sociale, nel rispetto delle regole di convivenza, nella capacità di pensare il futuro per prevedere, prevenire, progettare, cambiare e verificare. Tali obiettivi devono essere tenuti presenti sin dalla scuola materna per avviare un processo continuo di miglioramento sia a livello organizzativo che didattico e formativo in generale. La qualità passa attraverso una adeguata programmazione formativa anche all’interno della famiglia, attraverso obiettivi chiari e condivisi tra i genitori. Nelle attività previste in fase programmatoria ciascun soggetto propone interventi ed attività, mettendo insieme le conoscenze e le risorse disponibili e costruisce una rete di intervento che non lascia niente al caso, ma ciascuno interviene, nel rispetto delle sue competenze ed identità per realizzare un processo di aiuto individualizzato e non standardizzato che mira soprattutto a rafforzare le competenze e le attitudini naturali dei fanciulli ed adolescenti ed a creare la formazione integrale della persona umana. La costruzione del progetto consente di prevedere attività da mettere in atto, che costituisce la terza fase della metodologia programmatoria, ma anche indicatori di qualità per la verifica, che rappresenta la quarta fase. Finora la vigilanza, ai fini della verifica, ha preso in esame solo indicatori di tipo quantitativo, in quanto non sono stati messi a punto strumenti di verifica qualitativa, che riguardano la qualità dei servizi erogati e la soddisfazione dei soggetti utenti e delle loro famiglie per il servizio ricevuto. La costruzione di indicatori di qualità consente una attività di miglioramento continuo secondo la strada dei piccoli passi, ma anche una continua verifica dei risultati raggiunti. La quarta fase che comprende la verifica in itinere e la verifica finale sarà allora possibile da parte della scuola, ma tiene conto del progetto costruito insieme e degli indicatori di verifica già indicati, che consentono una valutazione dei servizi offerti e possono dare valide indicazioni per una più efficace e più efficiente nuova programmazione, l’utilizzazione di ogni contributo e le osservazioni per il miglioramento continuo dei servizi messi in atto. Si possono predisporre alcune schede da somministrare all’utenza per la valutazione dei servizi ricevuti che consentono agli stessi utenti di esprimere il loro parere ed il loro gradimento e di dare suggerimenti rispetto al servizio ricevuto, di cui tener conto nella successiva programmazione didattica. Il modello da me studiato, per attuare una corretta valutazione di qualità per i servizi alla persona, mette in luce che occorre tener presenti alcuni particolari: intanto non possono essere usate le norme ISO 9001 perché l’erogazione del servizio è contestuale alla sua fruizione, come avviene nella attività didattica e formativa. Nella valutazione dei servizi occorre tener conto degli indicatori di qualità predisposti ed in particolare del rispetto del rapporto efficacia/efficienza di ogni servizio e del rapporto costi/benefici, ma sulla base degli indicatori di qualità a parità di spesa possono essere offerti servizi veramente innovativi e creativi. Ai fini di una migliore fruizione di servizi si dovrebbero migliorare una serie di condizioni, soprattutto si dovrebbe migliorare la formazione del personale, come la capacità di comunicazione e di informazione che sono elementi indispensabili in un ambiente formativo. Nella organizzazione didattica all’interno della scuola che attraverso la formazione integrale eroga uno dei più importanti servizi alla persona occorre leggere i fattori tenendo conto essenzialmente del fattore umano che è prevalente nelle professionalità impiegate e nell’utenza. I quattro fattori possono essere letti come segue: - la progettazione - la formazione e l’informazione - la gestione - il management e la valutazione in itinere La progettazione del servizio è elemento essenziale e deve rispondere a questi requisiti fondamentali: la domanda, la organizzazione e la possibilità di fruizione. Nessun servizio può essere offerto se non c’è un corrispondente bisogno da soddisfare, altrimenti si creano bisogni indotti e nel settore scolastico, a partire dalla scuola dell’Infanzia, occorre dare risposte autentiche a bisogni veri. La formazione del personale sul piano scientifico e sul piano umano e relazionale sono altrettanti elementi essenziali di valorizzazione del servizio di tutta evidenza, anche l’informazione per la effettiva fruizione, attraverso il P.O.F. diventa elemento essenziale. A questo gruppo di fattori che costituiscono il secondo elemento di qualità concorrono i corsi di formazione in situazione che accrescono e specializzano le competenze di base dei vari professionisti e mettono in campo i fattori di concertazione e collaborazione per la costruzione della rete degli operatori che rende il servizio effettivamente valido. La gestione del servizio deve essere improntata alla funzione specifica che svolge e si collega agli altri servizi per offrire una effettiva gamma di servizi formativi ed integrativi che soddisfi ogni esigenza. La gestione amministrativa o management e la valutazione periodica durante la fornitura del servizio sono due elementi che insieme concorrono a migliorare la qualità di ogni servizio: a partire dalla verifica periodica da effettuare in itinere occorre fare in modo che il servizio si riqualifichi e si adegui, da qui la necessità di una flessibilità nelle gestione e di un adattamento continuo alle esigenze della utenza. I servizi possono essere svolti secondo tre tipi di logiche: una logica istituzionale, una logica degli operatori e una logica dell’utenza, mentre le prime due sono sempre ampiamente ben rappresentate e messe in atto attraverso l’esercizio del “potere” istituzionale o degli operatori, quello degli utenti non viene mai rappresentato. L’attuale momento storico vede la Chiesa ed i cristiani impegnati a costruire un mondo più umano e più vivibile all’interno delle dinamiche della secolarizzazione e della globalizzazione, fenomeni con i quali siamo quotidianamente tenuti a confrontarci. In una società come la nostra, influenzata dagli effetti della globalizzazione e caratterizzata dalla frammentazione e l’incertezza, attraversata da confini invisibili, che chiudono le risorse e le aprono in base a regole e convivenze particolari dove il territorio, che è soprattutto linguaggio e cultura, manda messaggi di speranza agli uni e di scoraggiamento ad altri, la persona nella sua esperienza di ogni giorno incontra difficoltà ad individuare punti di riferimento comuni e stabili la cui mancanza ostacola il suo sviluppo armonioso e dignitoso. Ma la mancanza dei punti di riferimento solidi non è l’unico ostacolo alla piena realizzazione dei singoli, come anche delle intere comunità. Si osservano anche altri ostacoli che hanno la loro fonte nella difficile situazione economica, sociale e politica che non sempre si svolge a favore della persona umana considerata nella sua totalità e dignità. In questa situazione caratterizzata dalla disuguaglianza di possibilità atte a soddisfare i diversi bisogni nascono le cosiddette professioni sociali che svolgono un lavoro sociale attraverso interventi di aiuto nei confronti di persone, famiglie, gruppi e comunità, appunto, ritenute “svantaggiate” rispetto agli standard sociali dominanti, ma anche un lavoro di promozione umana, di sviluppo di risorse, di empowerment per superare alla base le disuguaglianze esistenti. La società civile composta da Famiglie ed Associazioni deve ritrovare il suo ruolo insostibuile ed è l’unica che può fare in modo che le nuove generazioni non abbiano solo modelli di mercato per cui l’uomo vale per quanto ha, ma modelli umani per cui l’uomo vale per quanto sa. Ritorna la vecchia contrapposizione tra l’essere e l’avere, in cui siamo decisamente schierati per l’essere. | |
04-03-2012 |